lunedì 29 ottobre 2007

Lezioni V e VI (a.a. 2007-08)

Queste due lezioni sono state dedicate prevalentemente all'analisi del Determinismo Tecnologico.
La presentazione riassuntiva che segue, relativa a due dei principali artefici del determinismo tecnologico, va approfondita ed integrata con la lettura dei brani antologici presenti nel volume consigliato per l'esame (L.Bifulco-G.Vitiello, Sociologi della Comunicazione, pp. 15-39).

Innis
Lo storico dell’economia Harold Innis, fondatore della Scuola di Toronto, è uno tra i primi studiosi che possiamo citare per comprendere a pieno il determinismo tecnologico.
Sul finire degli anni Trenta, durante i suoi studi sul commercio del legname e della cellulosa, Innis dedusse che senza la carta, e di conseguenza senza giornali, libri, ecc... , mai sarebbe potuta nascere l’economia contemporanea. Tra tutti gli staples, cioè i prodotti che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia dell’economia, la carta sembra essere per la società moderna il principale.

Partendo da questa considerazione Innis cominciò a dedicarsi allo studio di come, i vari supporti della comunicazione, avessero avuto un peso determinate nella nascita di diverse formi di organizzazione economica e politica.
Innis riteneva che le forme e i mezzi, caratteristici di varie epoche storiche, attraverso cui la conoscenza veniva diffusa, andavano a costituire la base delle relazioni sociali ed economiche tra gli individui.

Spazio e Tempo
Forme e mezzi di comunicazione, tendono ad agire sulle dimensioni dello spazio e del tempo, differenziandosi per una maggiore propensione per l’una o l’altra dimensione e determinando in questo modo la tipologia di Imperi che si sono succeduti nel tempo

Media che enfatizzano il tempo
solitamente costituiti da materiali pesanti e difficili da trasportare, quindi non permettono un’agevole circolazione delle informazioni favorendo l’accentramento del sapere così come del potere e di conseguenza i monopoli ecclesiastici.
Media che enfatizzano lo spazio
costituiti da materiali leggeri che permettono una rapida circolazione delle notizie su aree anche abbastanza estese, favoriscono la nascita di organizzazioni burocratiche.

L’Impero romano - ad esempio - essendo molto esteso, necessitava di un sistema di trasporto e di comunicazione efficace. Il potere, civile e profano, si fondò su un particolare medium leggero, il papiro, che garantiva una rapida circolazione delle informazioni e permise ai romani di avere un grande controllo degli spazi. Ma non riuscirono altrettanto bene a controllare il tempo, cosa che invece fecero i primi predicatori cristiani attraverso l’uso della pergamena, mezzo non solo più economico, ma anche più durevole. Tutto ciò incrinò il potere dell’impero romano...
(per approfondimenti, pp. 15-25)

McLuhan
Lo studioso canadese Marshall McLuhan ha elaborato, nel corso degli anni sessanta, quella che può essere senz’altro considerata la più famosa teoria generale sui media. L’importanza dei suoi lavori deriva probabilmente, più che dal rigore scientifico con cui propone le sue teorie, dal carattere suggestivo e provocatorio assunto dalle stesse. Più che di una vera e propria “filosofia” o “critica sociologica” dei media, la sua sembra infatti essere un’esplorazione sull’evoluzione degli strumenti tecnologici elaborati dagli uomini nel corso della storia, al fine di produrre comunicazione.
Le sue opere principali sono The Gutenberg Galaxy: the Making of Tipographic Man (1962) e Understanding Media: the Extension of Man (1964), entrambi tradotti in Italia. Si tratta di lavori che uniscono all’indubbia originalità un non certo minor grado di confusione, essendo composti seguendo uno stile che oggi potremmo definire “ipertestuale”, poco lineare e talvolta anche contraddittorio. Ciononostante, si tratta di saggi tra i più popolari della storia della sociologia della comunicazione.
Detto ciò, un tentativo di sistematizzazione delle idee di McLuhan potrebbe apparire un compito assai complesso. Resta però da aggiungere che gli obiettivi di fondo di tutta la sua opera possono essere sintetizzati in modo abbastanza agevole facendo riferimento ad alcuni nodi principali.

I – Il determinismo tecnologico
La posizione teorica generale di McLuhan può essere senz’altro definita come un determinismo tecnologico. Vale a dire che le grandi innovazioni tecnologiche verificatesi nel corso della storia dell’umanità avrebbero avuto, per questo autore, un ruolo primario e determinante nell’influenzare la vita degli uomini, ovvero l’organizzazione sia sociale che psicologica delle loro rispettive epoche.
Per spiegare tale tesi, McLuhan concentra i propri sforzi sull’enorme ruolo svolto dalle tecnologie della comunicazione nella storia dell’umanità, giungendo a sostenere che ogni mutamento sociale verificatosi finora in tale storia, sarebbe stato determinato da un cambiamento tecnologico nei “modi” di comunicare connessi alle tecnologie, più che nei “contenuti” della comunicazione stessa.

Schematizzando, si può dire che le innovazioni tecnologiche fondamentali considerate dallo studioso canadese sono:
1) l’invenzione dell’alfabeto fonetico, che ha dato inizio al predominio della vista, in contrapposizione al mondo prevalentemente auditivo e tattile proprio dell’epoca tribale;
2) l’introduzione della stampa, che ha accelerato il processo messo in moto in precedenza, fornendogli un carattere esplosivo;
3) l’invenzione del telegrafo, nel 1844, che ha dato il via all’epoca che ha condotto all’elettronica, restaurando il vecchio equilibrio sensoriale.
Si hanno così quattro epoche perfettamente definite:
a) tribalismo pre-alfabetico; b) periodo della scrittura (post-Omerico); c) l’età della stampa (dal 1500 al 1900 circa); d) l’era dei mezzi elettronici (iniziata con il Novecento).
Ogni epoca è determinata da una tecnologia che ne rappresenta il motore e ne configura la forma.
McLuhan, evitando esplicitamente di considerare buone o cattive le tecnologie, parte dall’idea che gli strumenti e le macchine presenti sulla terra sono solo estensioni delle estremità e dei sensi dell’uomo, ovvero, che una pala è un’estensione della mano, così come il telefono lo è dell’orecchio e la televisione lo è sia della vista che dell’orecchio. Ed è soprattutto attraverso questa strada che la tecnologia influisce sull’uomo e, in un certo senso, lo domina. È questo il motivo per cui egli sottolinea la necessità di conoscere il meglio possibile le tecnologie di cui disponiamo, piuttosto che criticarle o giudicarle.

II – L’equilibrio sensoriale
Non bisogna però perdere di vista l’idea mcluhaniana secondo cui gli effetti della tecnologia non investono soltanto concetti e opinioni, ma anche e soprattutto i modelli della percezione umana, modificando gli stessi organi di senso di cui gli uomini sono dotati.
L’uomo tribale, ovvero l’uomo prima dell’invenzione dell’alfabeto, era un essere che viveva in un mondo in cui tutti i sensi erano simultanei e in equilibrio reciproco, un mondo chiuso, con una cultura orale strutturata da un dominante senso auditivo della vita. Dato che il mezzo di comunicazione era la parola, la distribuzione della conoscenza tra una persona ed un’altra era simile. Azione e reazione erano simultanee, senza separazione. Lo spazio in cui si muovevano era essenzialmente acustico, senza centro né margini, molto meno analitico e lineare dello spazio visuale. Si trattava insomma di un mondo perfettamente adeguato ad una visione unificata, magica e iconografica della realtà.
In questo stesso spazio acustico si muovevano tuttavia gli ideogrammi e la scrittura egizia, i quali erano però più che altro disegni di realtà.
Come abbiamo già detto, l’estensione di un senso qualsiasi, altera il modo in cui percepiamo il mondo e, pertanto, il modo in cui pensiamo e agiamo. Così, quando cambiano gli strumenti, anche l’uomo cambia con essi. In tal modo, l’inizio della scrittura fonetica ha dato luogo ad una rottura dell’equilibrio tra i sensi della percezione esistenti nel mondo tribale, creando uno squilibrio che si compirà definitivamente soltanto con l’invenzione della stampa. Come sostiene McLuhan in Galassia Gutenberg, “l’alfabeto fonetico, attribuendo un significato astratto al suono e trasponendo i suoni ad un codice visivo, ha fatto sì che gli uomini si potessero vedere sottomessi ad un’esperienza che li andava trasformando”.
Nel mondo tribale i sensi del tatto, del gusto e dell’udito avevano un’importanza molto elevata, che venne frantumato dall’assimilazione dell’alfabeto fonetico. L’equilibrio sensoriale caratteristico della cultura tribale, si disgrega nel momento in cui comincia a predominare la vista. Lo spazio acustico della percezione simultanea di tutti i sensi, organico e integrale, si infrange per dar luogo ad uno spazio pittorico, razionale e uniforme. Per McLuhan, i nostri stessi “concetti occidentali relativi allo spazio e al tempo derivano dall’ambiente creato dalla scoperta della scrittura fonetica, così come tutta la nostra concezione della civiltà occidentale”.

III – Il mezzo è il messaggio
In nessun momento – afferma McLuhan – il contenuto di un messaggio assume un ruolo significativo nel processo comunicativo, esso ha sempre e comunque una funzione secondaria: “fissando la nostra attenzione sul contenuto e non sul mezzo, finiremo col perdere ogni opportunità di poter percepire ed influenzare l’impatto delle nuove tecnologie”. Nella nostra cultura tipografica, scissa, abituata a suddividere le cose come mezzo di controllo, può infastidire che ci venga ricordato che per ciò che concerne gli aspetti operativi e pratici il “medium è il messaggio”, eppure questo è esattamente ciò che intende l’A. Più precisamente, possiamo analizzare tale famosa frase mcluhaniana nel modo seguente:
- innanzitutto, “il mezzo è il messaggio” potrebbe suggerire l’idea che ogni medium crei un suo proprio pubblico, in cui il legame con il mezzo diviene molto più importante di ogni possibile interesse per i contenuti da esso trasmessi. Vale a dire che le persone consumano il proprio mezzo in modo primordiale: un individuo si immerge nel suo giornale o nella sua rivista, parla ore al telefono o consuma televisione, per il puro piacere di farlo;
- il messaggio del mezzo include tutta quella parte della cultura occidentale sulla quale il mezzo ha esercitato un’influenza. Ovvero, il messaggio contenuto nel mezzo non è solo una “tale notizia”, ma viene accompagnato da un aspetto normativo condiviso socialmente dalle persone appartenenti alla nostra stessa cultura.
- infine esso ci indica anche che lo stesso mezzo modella i limiti e le possibilità per la comunicazione del contenuto. Ciò significa che ogni mezzo possiede delle forme e delle potenzialità particolari. Ad esempio, la televisione può essere più adeguata rispetto alla stampa per informare a proposito di una gara di atletica, mentre la stampa sarà più adeguata per informarci su un dibattito politico. In ogni caso, per McLuhan la società è sempre stata strutturata più dalla natura dei media che da quella dell’informazione. Per questo “il mezzo è il messaggio”: il mezzo stesso, il modo in cui diffonde le sue informazioni e influenza la struttura mentale ed emotiva di colui che riceve, è più importante di qualunque messaggio cui possa servire da veicolo.
È possibile insomma affermare che ciò che viene scritto su un giornale è meno importante, da un punto di vista sociale, del fatto che sia stato stampato innumerevoli volte e che sarà letto simultaneamente da molte persone; l’uniformità, la ripetibilità e la simultaneità del mezzo sono molto più significativi del suo contenuto.

IV - Il villaggio globale
Abbiamo visto che la tappa finale del grande processo di sviluppo storico dei media sarebbe quello relativo all’era dell’elettronica, fortemente caratterizzata dalla cosiddetta ri-tribalizzazione. Questo è il senso da attribuire all’affermazione secondo la quale staremmo vivendo in un villaggio globale. La trasformazione del mondo in un villaggio globale significa innanzitutto che chiunque viva nel più remoto dei villaggi è in grado di condurre, grazie alla simultaneità e all’estensione dei mezzi elettronici, una vita così cosmopolita come quella che condurrebbe a Parigi o a New York. In un senso più profondo, tale concetto indica però anche che “le estensioni tecnologiche del nostro sistema nervoso centrale, indotte dall’elettronica, ci stanno sommergendo in una piscina mondiale di movimento di informazione, consentendo all’uomo di incorporare dentro di sé l’intera umanità”. Sembra logico che se la stampa – come fase estrema della cultura alfabetica – de-tribalizza l’uomo (elevando le caratteristiche visive alla loro più alta intensità e producendo così l’individualismo), allora la cultura promossa dalla tecnologia elettronica, al ristabilire l’equilibrio sensoriale, debba produrre un "nuovo tribalismo".
(per approfondimenti, pp. 26-39)

domenica 21 ottobre 2007

Lezioni III e IV (a.a. 2007-08)

L’esteriorizzazione può essere considerata una vera e prorpia necessità antropologica. L’uomo, da come lo conosciamo empiricamente, non può essere concepito prescindendo dall’incessante riversamento di se stesso dal mondo in cui si trova; non può venire inteso come un essere ripiegato su se stesso, chiuso in una qualche sfera d’interiorità, e che poi cominci a esprimersi nel mondo che lo circonda.
L’essere umano si esteriorizza nella sua essenza e fin dall’inizio. Questo fondamentale fatto antropologico ha le sue radici - secondo alcuni importanti studiosi - nella stessa costituzione biologica dell’uomo.

Per semplificare diciamo che, essendo biologicamente privo di un mondo fatto per sé, di un mondo-uomo, egli è costretto a costruirselo. Il risultato di tale costruzione è, naturalmente, ciò che chiamiamo cultura, il cui scopo fondamentale è quello di dare alla vita umana quelle solide strutture che biologicamente le mancano.
Quest’ipotesi di tipo culturologico è fondata su dati e teorie di tipo eminentemente “antropologico”. Una di queste – tra le più vecchie, ma anche tra le più affascinanti – fu formulata da un certo Ludwig Bolk.

Prima di esaminarla va preso in considerazione innanzitutto un dato di fatto: esiste nell’uomo una lentezza nello sviluppo motore, nella crescita, molto particolare e molto diversa rispetto agli altri animali.
Se, ad esempio, noi collochiamo all’età di 12 anni, età della pubertà, la prima sostanziale autonomia dell’essere umano, (questa d’altronde è l’età in cui nella maggior parte delle civiltà si collocano i riti d’iniziazione), e a 70 il tasso medio della vita umana, il rapporto: “inizio della età adulta” e “lunghezza della vita” è pari a 1/6. Ora non esistono specie animali in cui questo rapporto scende al disotto di 1/12, 1/10. Il che vuol dire che esiste un enorme differenza tra l’uomo e l’animale per svilupparsi sul piano motorio. Va detto inoltre che la lentezza dello sviluppo è nell’uomo molto più marcata nel corso del primo anno di vita.

Qui si inserisce la teoria di Bolk. Così in una conferenza si esprimeva questo studioso (era un professore di anatomia ad Amsterdam negli anni ‘20): “Se volessi esprimere in una frase un po’ lapidaria l’essenziale della mia teoria, presenterei l’uomo, dal punto di vista corporale, come un feto di primate geneticamente stabilizzato”.
Non esiste un mammifero con una crescita così lenta come quella dell’uomo; non esiste un mammifero che resti per così lungo tempo dipendente dai suoi genitori. Non esiste mammifero che dopo uno sviluppo così lento abbia una senescenza così lunga. Quale animale dopo la fine delle sue possibilità germinative può godere – dice Bolk – di una così lunga esistenza puramente somatica? Secondo quest’autore vi sono alcune caratteristiche morfologiche proprie all’uomo, come ad esempio l’assenza di pelo, la situazione centrale del Foramen magnum, il peso elevato del cervello, la persistenza della fontanella, la forma del bacino, l’orientamento ventrale dell’orifizio genitale femminile etc. che hanno tra di loro una proprietà comune.
Sono – dice Bolk – delle condizioni o stati fetali divenuti permanenti. in altre parole, delle proprietà strutturali che sono passeggere nel feto degli altri primati e che si sono stabilizzate nell’uomo. Per quest’immaginifico autore l’uomo è il prodotto di un ritardo fisiologico della crescenza e della maturazione. Quali le conseguenze di una tale teoria?

Da una parte – fisicamente – il volume della scatola cranica dovuto alla non-sutura della fontanella rende possibile lo sviluppo del cervello; dall’altra la nascita prematura e la lentezza della maturazione rende indispensabile la protezione degli adulti e giustifica così le complesse relazioni psicologiche che si sono create. Questo spiega inoltre il bisogno dell’uomo se vuole sopravvivere a costruirsi ed a compensare la sua carenza dominando la natura attraverso la creazione della cultura.
Quest’essere incompleto crea protesi per dominare un esterno che altrimenti non sarebbe in grado di dominare. Essere incompleto ed impotente modifica un ambiente che gli è completamente estraneo. Riempie mancanze, attualizza assenze. Se non l’avesse fatto sarebbe scomparso.

Possiamo ora capire più approfonditamente la definizione del concetto di "cultura" proposto in precedenza:
La cultura consiste nella totalità dei prodotti dell’uomo.
Alcuni di questi prodotti sono materiali, altri no. L’uomo produce attrezzi d’ogni genere tramite cui modifica il suo ambiente fisico e piega la natura al proprio volere. L’uomo produce anche il linguaggio e, sulla base e per mezzo di esso, un importante edificio di simboli che permeano ogni aspetto della sua vita. È in tal senso che - dal punto di vista che stiamo qui adottando - bisogna intendere ed analizzare la centralità dei processi comunicativi nell’ambito delle scienze sociali.

Per introdurre un esempio, tratto da una famosa citazione di Karl Popper, è possibile paragonare l’evoluzione del mondo della cultura, con quello del mondo animale, nel senso che, così come “l’evoluzione animale procede in larga misura attraverso l’emergenza di nuovi organi e della loro modificazione, così l’evoluzione della cultura umana procederebbe, in larga misura, attraverso lo sviluppo di nuovi organi al di fuori del corpo: eso-somaticamente o, extra-personalmente.
L’uomo, cioè, invece di sviluppare migliori occhi e migliori orecchie, produce occhiali, microscopi, telescopi, telefoni, cornette acustiche, etc... e invece di sviluppare gambe sempre più veloci, produce automobili sempre più rapide. E ancora – ed è questo un aspetto dell’evoluzione culturale che coinvolge in modo assolutamente centrale tutti i processi comunicativi di cui ci occuperemo – invece di sviluppare memorie e cervelli migliori, l’uomo produce carta, penne, macchine da scrivere, computer, libri e biblioteche.

Produce soprattutto linguaggio. Attraverso il linguaggio in effetti l’uomo detta un ordine all’esperienza. Il linguaggio “ordina” creando una differenziazione e una struttura nel flusso incessante dei fatti che l’esperienza ci propone. Un frammento dell’esperienza non appena viene nominato esce immediatamente da quel flusso e acquisisce una stabilità tipica della designazione. Ogni volta che l’uomo s’inventa e impone un linguaggio assicura un ordine di rapporti, afferma perentoriamente che questo è proprio questo e non quello.
Sul linguaggio si fonda tutto l’edificio cognitivo e normativo che noi definiamo conoscenza.

Sappiamo che ogni società impone un ordine comune d’interpretazione dell’esperienza, ordine che diventa conoscenza “oggettiva”. Fare parte di una società vuol dire condividerne la “conoscenza”.

Con il processo di oggettivazione, il mondo umanamente prodotto, la cultura, diventa qualcosa che sta al di là di noi, sta “al di fuori”. Esso consiste in “oggetti”, sia materiali che non materiali, capaci (Berger dice) di “resistere ai desideri dei loro produttori”. Il che, in poche parole vuol dire che una volta prodotto, questo mondo non può essere spazzato via da un semplice desiderio. Esso è là, nella sua incombenza, spesso nella sua opacità, sempre nella sua oggettività.

L’uomo costruisce un attrezzo e tramite tale azione arricchisce la totalità degli oggetti fisici presenti nel mondo. Una volta prodotto, però, l’attrezzo acquista una vita propria che non può facilmente venire cambiata da quanti lo usano. In realtà l’attrezzo, diciamo un utensile agricolo, può persino giungere a imporre la sua logica agli utenti, a volte in un modo che può anche non risultare loro particolarmente gradevole.
Per esempio, un aratro, per quanto ovviamente prodotto umano, è un oggetto esterno non solo nel senso che i suoi utenti, o i suoi produttori, possono anche cadervi sopra e farsi male – come potrebbero parimenti farsi male cadendo su un sasso o su un tronco o su qualsiasi altro oggetto materiale – ma anche nel senso, qui più importante, che può costringere i suoi utenti a riorganizzare l’attività agricola, e forse anche altri aspetti della loro vita, conformemente alla sua logica, né immaginata né prevista da coloro che in origine hanno inventato l’uso dell’attrezzo stesso.
Ad esempio un uso di un aratro più profondo, derivato da una tecnica più facile di aggiogamento dei buoi, modificò notevolmente l’agricoltura elevando considerevolmente la produttività agricola (consentendo l’alternanza dei terreni) e contemporaneamente il benessere generale. La medesima oggettività, comunque, caratterizza pure gli elementi non materiali della cultura. Pensate ad un’idea o ad una ideologia (cioè un insieme ideativo volto a indirizzare l’azione), a dei valori, ad una visione del mondo etc. etc.

Per ciò che concerne la comunicazione, è un dato di fatto che gli uomini inventano un linguaggio e poi scoprono che sia il loro parlare che il loro pensare vengono regolati, meglio costretti, dalla grammatica che essi stessi hanno prodotto (oggettivato). D’altronde il linguaggio è l’oggettivazione più importante che l’uomo abbia prodotto. I suoi fondamenti sono naturalmente nella capacità umana di vocalizzare, ma si può parlare di linguaggio solo se l’espressione vocale è capace di distacco. La vita in genere è tale perché io posso attraverso il linguaggio condividerla.

Fra parentesi va notato che gli esempi qui riportati riguardano (non a caso) la comunicazione. D’altronde la variazione dei modi della comunicazione è spesso più importante di quella dei modi di produzione. Cos’è poi, in effetti, la cultura se non una serie di atti di comunicazione?

Come ultima cosa diciamo che il mondo delle oggettivazioni sociali, prodotto dall’uomo nell’ambito del processo di esteriorizzazione, si pone di fronte all’uomo stesso come fattualità esterna e come tale viene dunque acquisito.

L’interiorizzazione è invece il processo mediante il quale il mondo oggettivato viene riassorbito nella coscienza dell’uomo, in modo tale che le strutture di questo mondo giungano a determinare le strutture soggettive della coscienza stessa.
La società, vale a dire, ora funziona come una sorta di agenzia formativa della coscienza individuale. Proprio in seguito all’interiorizzazione, l’individuo si appropria contemporaneamente di vari elementi del mondo oggettivato traducendoli in fenomeni interni alla sua coscienza (che cioè gli appartengono personalmente) e distinguendoli dai fenomeni della realtà esterna. In effetti ogni società che si prolunga nel tempo, o che ha la pretesa di, si trova a fronteggiare il problema della trasmissione da una generazione all’altra dei suoi significati oggettivati, della sua “conoscenza oggettivata”. Questo problema viene affrontato mediante i processi di socializzazione, vale a dire i processi tramite cui s’insegna a una nuova generazione a vivere in accordo con i programmi istituzionali della società.
O, detto in altro modo, la socializzazione è quando una generazione comunica alla generazione successiva i contenuti essenziali della cultura da essa prodotta. Questo è un tema importante in quanto ogni società (e ogni istituzione) che ha intenzione di prolungare la sua esistenza nel tempo si trova a dover affrontare il problema della trasmissione dei suoi significati (significati che essa ha prodotto e anche oggettivato). E lo fa fondamentalmente attraverso il processo della socializzazione, che vuol dire non solo far apprendere alla nuova generazione i significati della cultura, ma anche i ruoli e le identità. E questo avviene anche attraverso un processo di identificazione che permette al singolo abitante di questo universo di “modellarsi”, di costruirsi, attraverso questi significati.
Lo scopo ultimo della socializzazione è la costruzione di una simmetria (o corrispondenza) tra la cosiddetta realtà oggettiva (quella che è al di fuori di noi) e la realtà soggettiva (quella che percepiamo al nostro interno).
In poche parole la società, generalmente, pretende che i suoi significati siano uguali ai nostri significati (di qui l’importanza che la società attribuisce alla comunicazione e alla “condivisione del significato”).
Questa è una pretesa impossibile ad attuarsi (al meno nella sua forma più estrema) perché la socializzazione, per una serie di motivi, è sempre imperfetta. Va detto inoltre (dall’altro canto) che una socializzazione troppo parziale finisce per mettere in crisi la società stessa, in quanto, al limite, nessuno condividerebbe i significati (compresi quindi i valori) che la società s’è data.

Anche qui va sottolineato come emergano i problemi fondamentali della comunicazione: la trasmissione dei “messaggi” e la condivisione del significato. Nel momento in cui l’individuo interiorizza l’insieme dei significati che la società gli impone riesce a dare ordine soggettivo alla propria esperienza, dà un senso alla propria biografia. E cioè ordina gli elementi della sua passata esperienza e li integra nell’ordine societario. Il tempo acquista un senso: passato presente e futuro diventano quel continuum necessario per l’esistenza stessa dell’individuo.

In sostanza gli uomini sono costretti “antropologicamente” a costruire il senso della realtà (esteriorizzazione), a reificarlo (oggettivazione) e a riappropriarsene nel corso della socializzazione (interiorizzazione).

L’operazione di costruzione dell’ordine ha anche poi un’altra funzione: quella di difendere l’uomo dal terrore dell’esistenza. Questo terrore dell’esistenza è la perdita del significato.
La perdita di significato è il caos, che, come tale, deve essere tenuto a bada ad ogni costo. In poche parole vivere nel mondo sociale significa avere una esistenza normale e significativa, uscirne fuori, nel senso della impossibilità di condividerne i significati, costituisce una minaccia per l’individuo perché si perde l’orientamento dell’esperienza. Nei casi estremi – dice Berger – si perde il senso della realtà e dell’identità.
Quest’aspetto protettivo dell’ordine sociale è molto evidente nelle cosiddette situazioni marginali.

Queste sono quelle situazioni della vita che lo portano vicino ai confini dell’ordine che regola la sua vita quotidiana. Sono situazioni che si presentano spesso nei sogni, anche in quelli ad occhi aperti.

A volte queste fantasie si presentano come “dubbi” sulla consistenza della realtà che ci circonda, che diventa precaria, incerta. Questi dubbi possono coinvolgere gli strati profondi della coscienza (gli psichiatri li chiamano stati nevrotici o psicotici), allora costituiscono una minaccia per l’individuo che ne rimane terrorizzato. Ciò che viene messo in crisi – e che terrorizza – è l’ordine su cui tutta la sua esistenza si basava.
Queste situazioni possono essere chiamate “situazioni marginali” proprio perché stanno ai margini della realtà stabilita, la sfiorano o la coinvolgono profondamente. La situazione marginale per eccellenza è la morte. La morte infatti - come avremo modo di approfondire nel corso delle prossime lezioni - mette in crisi, insinua dei dubbi sulle precedenti definizioni della realtà. In effetti essa mina i presupposti dell’ordine stabilito. Allora ci si rende conto che ogni realtà a fianco possiede un’irrealtà che è terrorizzante.

Detto in termini diversi, quando questa realtà si presenta fa difetto la comunicazione. Berger la chiama conversazione e cioè la possibilità di rassicurazione che si ottiene attraverso la condivisione e vitalizzazione dei significati. In altri termini le situazioni marginali dell’esistenza umana mettono in luce la precarietà di quanto è stato costruito dall’uomo: vi è un’irrealtà possibile che minaccia ogni forma di realtà.
Dietro l’ordine vi è l’anomia, che vuol dire assenza di norme. D’altronde ogni ordine costruito è uno spazio di significatività “estratto” in un mucchio di non-senso. Ogni ordine costruito è un edificio contro le forze del caos. Ed è evidente che questo caos deve essere tenuto a bada. Il che vuol dire che ogni società sviluppa dei meccanismi di difesa atti a difendere la realtà costruita. Dei meccanismi cioè in grado di aiutare i suoi membri a restare orientati nella realtà e – nel caso fosse necessario – a tornare nella realtà (quella realtà così come ufficialmente è stata definita).
Uno dei meccanismi più efficaci è quello di fare accettare il mondo sociale come dato.

La socializzazione ha successo quando spinge ad accettare i significati chiave della società come inevitabili. Non basta cioè che l’individuo li consideri utili, giusti o desiderabili, è necessario che sia convinto che essi sono inevitabili, cioè immutabili.

Tutto quanto detto finora e gli argomenti che abbiamo introdotto devono essere intesi come un bagaglio concettuale, una “cassetta degli attrezzi” con i quali poter costruire una griglia di interpretazione sociologica dei fenomeni comunicativi che affronteremo nel corso delle prossime lezioni.

lunedì 15 ottobre 2007

Lezioni I e II (a.a. 2007-08)

In questa prima fase del corso presenterò alcuni concetti fondamentali. L’idea è quella di fornire gli attrezzi, gli strumenti di base per un approccio sociologico allo studio dei processi comunicativi.

I termini chiave del corso sono comunicazione e cultura. Prima però saranno necessarie alcune riflessioni sul concetto di società.

Diciamo innanzitutto che la società è un prodotto umano, nient’altro che un prodotto dell’attività umana. Essa non ha altra esistenza se non quella che le viene conferita dall’attività e dalla coscienza dell’uomo. Non esiste, né vi può essere nessuna realtà sociale che prescinda dalla presenza e dall’operosità dell’uomo, nonché dalla sua presa di coscienza su tale presenza e tale esercizio.
Tuttavia, nell’ambito della prospettiva dialettica che qui adotteremo, è possibile affermare anche esattamente il contrario: ovvero che l’uomo è un prodotto esclusivo della società. In effetti la società esisteva prima che l’individuo nascesse, esiste durante il corso della sua vita, ed esisterà dopo che egli sarà morto.
È proprio all’interno della società infatti, e proprio come risultato di complessi processi sociali, che l’individuo diventa tale, diventa cioè una persona che acquisisce e mantiene una propria identità, un individuo che si costruisce una “sua” vita.
In parole povere la società non può esistere senza l’uomo; e l’uomo non può esistere senza società; entrambe si co-producono reciprocamente, questo è il cuore di ciò che abbiamo chiamato processo dialettico e che è intrinseco ad ogni fenomeno sociale. Ed è solo riconoscendo tale carattere che la società può essere intesa nei termini che sono più consoni alla ricerca sociologica: la società come realtà empirica.

Ora, riprendendo alcuni studi, oramai divenuti classici della sociologia della conoscenza di derivazione fenomenologica, è possibile sostenere che tale processo dialettico (uomo-produttore/società-produttrice) consiste in tre momenti o gradi:

a) l’esteriorizzazione;
b) l’oggettivazione;
c) l’interiorizzazione.

Intendiamoci è solo se questi tre momenti vengono intesi congiuntamente che si può avere una visione empiricamente adeguata della società. La loro suddivisione è di carattere analitico e non va intesa in senso cronologico.

a) L’esteriorizzazione può essere definita come il processo attraverso il quale l’uomo – per alcune fondamentali necessità antropologiche – si riversa nel mondo circostante (lo modella), al fine di costruire una realtà adatta alla sua sopravvivenza. (Nel senso più ampio del termine). Tale processo si manifesta semplicemente attraverso l’attività degli uomini, un’attività che è sia fisica che mentale;

b) L’oggettivazione a sua volta, è il processo che sta ad indicare proprio la realizzazione di tale realtà, costruita tramite i prodotti dell’attività sia fisica che mentale. È importante sottolineare sin d’ora che, una volta realizzata, tale realtà oggettiva si pone davanti ai suoi originali produttori come un dato esterno, diverso , appunto, oggettivo;

c) L’interiorizzazione infine, consiste in quel processo di riappropriazione, da parte degli uomini, di quella realtà così costruita, la quale – proprio attraverso questo processo – viene ri-trasformata in una struttura della coscienza soggettiva.

Nelle prossime lezioni verranno presentate più nello specifico – e più approfonditamente – le caratteristiche di questi tre processi, prima di passare a collocare l’oggetto dei nostri interessi, i processi comunicativi, nell’ambito di una tale prospettiva culturologica.

ricevimento

il ricevimento previsto per giovedì 18 ottobre è spostato a lunedì 22 ottobre (ore 11-13)

mercoledì 10 ottobre 2007

cambio aula lezione

le lezioni del giovedì (ore 9-11) di comunicazione e processi culturali si terranno nell'aula ottagono (Università centrale, via Mezzocannone, Scalone Minerva ex-aula Fisica).

l'orario e le sedi delle lezioni sono pertanto le seguenti:
Martedì (ore 13-15) Aula Cinema Astra
Giovedì (ore 9-11) Aula Ottagono (ex Fisica)

venerdì 5 ottobre 2007

Programma 2007-08

COMUNICAZIONE E PROCESSI CULTURALI
I semestre (6 cfu)

VOLUMI CONSIGLIATI

Prima parte:
1) Antonio Cavicchia Scalamonti – Gianfranco Pecchinenda, Il foglio e lo schermo. Comunicazione e Processi Culturali, Ipermedium libri, Napoli 2007.
1) Luca Bifulco - Guido Vitiello, Sociologi della comunicazione. Antologia di studi sui media, Ipermedium libri, Napoli 2005.
Seconda parte:
3) Antonio Cavicchia Scalamonti, La morte. Quattro variazioni sul tema, Ipermedium libri, Napoli 2007.

4) Gianfranco Pecchinenda, Videogiochi e cultura della simulazione. La nascita dell’homo game, Laterza, Roma-Bari 2003.

PROVA FINALE:
La prova d’esame sarà scritta e orale (gli studenti che frequentano potranno sostenere la prova scritta durante il corso)


orario ricevimento 2007-08

a partire dal mese di ottobre, e per tutto il primo semestre, l'orario di ricevimento studenti sarà il giovedì dalle 11 alle 13. Ogni eventuale variazione sarà comunicata in questo spazio

inizio corso 2007-08

il corso di Comunicazione e Processi Culturali (6 cfu) avrà inizio martedì 9 ottobre alle ore 13 e proseguirà tutti i martedì (13-15) e giovedì (9-11) nell'aula - Cinema Astra (via Mezzocannone)

martedì 2 ottobre 2007

ricevimento

il prossimo ricevimento studenti si terrà mercoledì 3 ottobre dalle 10 alle 12