giovedì 20 gennaio 2011

Corriere del Mezzogiorno



La nostra, si sa, è una società senza padri. Non so se sia possibile rintracciare con successo le radici biologiche di un gruppo sociale. È certo però che l’indebolimento del senso d’identità, strettamente connesso alla progressiva frammentazione dei legami intergenerazionali e della memoria collettiva, stia facendo oggi aumentare enormemente il bisogno di andare alla ricerca di punti di riferimento – il cui valore è evidentemente soprattutto legato all’immaginario simbolico – che possano servire in qualche modo da ancoraggio. Una ricerca di radici, appunto, una ricerca di appartenenze, una ricerca di padri!
Se consideriamo che i primi padri umani non furono biologici ma adottivi, potrebbe risultare interessante allora riflettere su alcuni dei passaggi che hanno contribuito all’invenzione di questa peculiare figura.
Non è dato sapere con precisione di quante generazioni abbia bisogno un nuovo comportamento per diventare caratteristica permanente di una specie. Per quanto riguarda il comportamento paterno è però certamente evidente che un giorno esso è comparso, si è diffuso e poi stabilizzato fino ad appartenere a tutte le società umane conosciute, con qualche piccola e poco significativa eccezione, (come nella Cina meridionale, dove pare gli uomini si limitino a visitare di notte le donne, senza coabitare con loro).
Alcuni specialisti tendono a ricostruire i percorsi che hanno condotto all’affermarsi e alla diffusione di un tale comportamento rivoluzionario nel modo seguente: alcuni milioni di anni fa, in Africa, l’accoppiamento dei nostri antenati doveva essere regolato dal calore delle femmine, come ancora oggi avviene negli animali. Tra maschio e femmina non esisteva alcun genere di legame stabile. Essi si nutrivano prevalentemente di foglie e di frutta, la cui raccolta non richiedeva spostamenti né organizzazione di gruppo. La vita sociale prendeva probabilmente la forma di bande di dimensioni medio-piccole, come nella maggior parte delle scimmie superiori. Poi, progressivamente, si sono verificati – tra gli altri – i seguenti fondamentali passaggi: la progressiva stabilizzazione del bipedismo, con conseguente trasformazione delle funzioni delle mani (che cominciano, tra l’altro, ad essere utilizzate per il trasporto di oggetti, cibo e – soprattutto – dei figli); l’inizio di una profonda separazione di compiti tra i sessi: se le mani delle femmine-madri erano occupate dai figli, al cibo e alla difesa dovevano cominciare a provvedere i maschi. Questo atteggiamento rivoluzionario comincerà evidentemente ad essere premiato dalla selezione (coloro che conservavano un comportamento da padri-scimmia e non spartivano il cibo con i figli, avevano meno probabilità di sopravvivenza genetica. Il loro numero, inevitabilmente, tenderà a diminuire).
Era comparso un nuovo atteggiamento, evolutivamente vincente! Il maschio comincerà a divenire una presenza costante, per quanto intermittente a causa delle sue spedizioni di caccia.
Ma proprio a tal proposito è necessario sottolineare almeno un ultimo fenomeno fondamentale: ai vecchi percorsi di “sola andata” alla ricerca di prede, si inizierà a sostituire un’altra tipologia di cammino, quello che prevederà anche “il ritorno”, un ritorno al punto di partenza, il rientro “a casa”, la nascita di un essenziale legame ad un luogo, l’invenzione dell’appartenenza; le precondizioni, insomma, per la nascita della famiglia, delle società umane e, perché no, di tutti i successivi miti della ricerca delle radici.