venerdì 19 novembre 2010

Elettricità e Immaginario


Ad integrazione della lezione dello scorso 18 novembre, consiglio la lettura di questo articolo pubblicato nel corso dell’a.a. 2006-07 a cura del Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa dell’ Università degli Studi di Napoli Federico II nell’ambito dell’iniziativa “come alla corte di “Federico II”

IL NEO-ANIMISMO DELL’IMMAGINARIO ELETTROMAGNETICO
di Gianfranco Pecchinenda


Molte espressioni del linguaggio corrente rivelano chiaramente l’ampia e consolidata diffusione che un certo immaginario elettromagnetico è giunto ad assumere nell’ambito della nostra quotidianità: riconosciamo l’esistenza di “personalità magnetiche”, avvertiamo “vibrazioni negative”, percepiamo una “certa sintonia” con un nostro amico oppure ci sentiamo “scarichi” ed allora proviamo a ricaricare le “batterie”.
È forte la tentazione di leggere tali manifestazioni in una chiave “neo-animistica”: così come il pensiero medioevale, animisticamente, intendeva lo spazio e i corpi come pervasi di spiriti e di energie soprannaturali, il pensiero contemporaneo intende lo spazio e i corpi come pregni di onde e di energie elettromagnetiche.
Forse nessuna tecnologia può essere più utile ad evidenziare le ambiguità in cui si imbatte il pensiero scientifico quando prova a scrollarsi di dosso il suo inestricabile retroterra di derivazione mitica. L’unica mitologia innocente – come affermava Michel Serres – può essere infatti solo quella di una scienza priva di miti. E se c’è un mito che ha irrorato di sé le radici stesse dell’universo simbolico della modernità, questo è senza dubbio l’immaginario elettromagnetico.
Si pensi ad esempio alla riscoperta di Nikola Tesla – genio dimenticato
dell’elettromagnetismo del XX secolo – e alla sua mitizzazione nell’ambito della cultura hacker contemporanea.
Sappiamo dagli storici della scienza che quando vennero diffusi i risultati dei primi esperimenti relativi alle onde elettromagnetiche lo scompiglio fu tale da provocare, a livello collettivo, una serie di radicali trasformazioni nel senso stesso di alcune tra le più antiche questioni cosmologiche. In fondo, non conoscendo la vera natura di quelle oscure entità magnetiche, nulla impediva agli uomini dell’epoca di credere che si potesse trattare delle stesse forze che stavano alla fonte della vita, della luce o della coscienza: insomma, che si trattasse del divino motore di tutto ciò che esiste. E ancora oggi, tutto sommato, il fatto che gli scienziati affermino di conoscere le leggi che ci consentono di utilizzare campi magnetici per cuocere i cannelloni o per trasmettere le prodezze di Cannavaro via etere, non rende più banali o inutili quegli antichi interrogativi riguardanti le origini di queste affascinanti forze occulte.
Al di là delle risposte più o meno esaurienti che il pensiero scientifico ha fornito a tale genere di questioni, è indubbio che per tutto il diciottesimo e il diciannovesimo secolo l’aspetto mitologico dell’elettricità abbia finito per catalizzare su di sé quegli stessi impetuosi entusiasmi che attualmente vengono suscitati dall’informatica. Un mutamento determinante, in tal senso, è quello che verso la metà del diciannovesimo secolo si è verificato quando la celebre intuizione di Samuel Morse ha dato vita ad una delle più significative alterazioni dell’immaginario contemporaneo.
A partire da allora, infatti, i corpi e gli spazi verranno percepiti non più come pregni di energia ma di informazione, spianando la strada al passaggio da una concezione analogica dell’elettricità, che si presenta come una protesi che imita funzioni muscolari del corpo, ad una dimensione digitale,
che si presenta invece come una protesi che estende i contenuti ed i processi del sistema nervoso centrale ampliando, oltre alle capacità comunicative, anche le dimensioni stesse dei nostri sensi.