lunedì 12 settembre 2011

Recensioni

La ritirata della morteRecensione apparsa su IL MATTINO (8/8/2011)


LA RITIRATA DELLA MORTE E I FIGLI DEL DESIDERIO. UN’INDAGINE SULLA CONTEMPORANEITÀ

di Gianfranco Pecchinenda

Cos’è che ha reso così particolare e specifica la società occidentale moderna? Cos’è che le ha conferito quel carattere di assoluta unicità tra tutte le società mai esistite nella storia? A domande del genere, com’è noto, molti studiosi hanno provato a fornire risposte più o meno originali, più o meno complesse. Da quelle che si rifanno a una sorta di determinismo tecnologico, in cui vengono chiamate in causa, quali variabili indipendenti, a seconda dell’epoca, strumenti quali la radio, il cinema o il telefono, piuttosto che la televisione o i nuovi media; oppure a un determinismo opposto in cui vengono ripresi motivi causali più tradizionali come la secolarizzazione e la scomparsa di riferimenti etici più o meno trascendenti, il crollo dei valori familiari, lo sviluppo economico e il consumismo, il conflitto politico, generazionale e così via. Il sociologo francese Paul Yonnet, dal canto suo, in un volume appena tradotto in italiano dal piccolo ma sempre attento ed elegante editore campano Ipermedium libri (Paul Yonnet, La ritirata della morte, pp. 534, euro 25), presenta una tesi particolarmente innovativa ed efficace: ogni tentativo di analisi della modernità occidentale è destinato a restare parziale – egli sostiene – se non si comprende un presupposto divenuto assolutamente universale e sul quale si basa tutta l’organizzazione collettiva di questo tipo di società, a partire dalla costituzione della famiglia fino a giungere alla più complessa delle istituzioni. Tale presupposto è da ricercarsi nel fenomeno epocale da lui definito la ritirata della morte.
Con questa espressione Yonnet intende riferirsi – come sintetizza efficacemente il curatore dell’edizione italiana, Antonio Cavicchia Scalamonti – a quella profonda transizione demografica che ha determinato la quasi scomparsa della mortalità infantile, cui si è affiancata la notevole diminuzione della mortalità dovuta al parto. A partire da questo fenomeno, sostiene Yonnet, tutta una serie di indicatori convergono e spiegano molte delle più originali e inedite caratteristiche dell’attuale società. Si va dalle trasformazioni della struttura e delle funzioni della famiglia, passando per le metamorfosi nella condizione femminile e paterna, all’emergere di una nuova psicologia delle età e dei sessi, alla trasformazione dell’adolescenza, fino allo straordinario riadattamento statistico tra fecondità e mortalità che sta completamento modificando l’antropologia del nostro mondo attuale.
A proposito di quest’ultimo tema, forse il più significativo e problematico tra quelli analizzati in questo prezioso volume, il sociologo francese individua tre stadi della storia della progressiva riduzione della fecondità: il primo, che egli definisce della riduzione attraverso il matrimonio ritardato, avrebbe caratterizzato in particolare la Cristianità medioevale; il secondo – della riduzione nel matrimonio, è quello che ha regolamentato la fecondità fino all’avvento dell’ultimo periodo, quello attuale, in cui la fecondità viene controllata grazie alle tecniche contraccettive e all’aborto, dando vita – tra le conseguenze principali – all’emergere di una nuova tipologia di individuo, unica e assolutamente inedita: il figlio desiderato.
In estrema sintesi, se la finalità dell’istituzione-famiglia era un tempo quella di provvedere alla realizzazione di un equilibrato ricambio generazionale, oggi la sua funzione è completamente diversa: la riproduzione cambia senso, non è più un obbligo sociale e il figlio diventa quasi solo ed esclusivamente un “figlio desiderato”, ovvero voluto e programmato in modo molto razionale. Su di lui si investe, e tale investimento rappresenta un chiaro indicatore di un diverso orientamento psicologico della famiglia. Se a questo fenomeno aggiungiamo quelli già accennati – e che Yonnet descrive facendo riferimento a un ricco insieme di dati, tra cui, non ultimo, l’allungamento della vita media – ecco emergere ulteriori significative trasformazioni, come ad esempio l’impressionante concentrazione statistica della morte nelle età avanzate e la conseguente completa ridefinizione delle età della vita. Il culto della gioventù – frutto maturo di questi nuovi orientamenti – si sposa con la nuova costruzione temporale in cui il futuro fa oramai agio sul passato, l’autorità e il prestigio degli anziani seguono la generale valorizzazione della tradizione, e la gioventù, intesa come proiezione nel futuro e anche come periodo di formazione e preparazione per l’esistenza, viene sostanzialmente mitizzata e presa a modello anche dagli stessi anziani.
Una delle conseguenze più sconcertanti dell’intero processo sembra essere in conclusione l’emergere di nuove generazioni che si sentono sempre più legittimate a coltivare una perenne immaturità, accompagnata da un delirante sentimento di immortalità. “Il figlio è allevato come un immortale in un mondo di immortali” – chiosa Yonnet – e dietro questa negazione della morte si rivelano però, assumendo forme sempre più preoccupanti, atteggiamenti che tradiscono tutta la loro acerbità, quali l’esaltazione per il benessere fisico e il terrore per ogni forma di malattia, il consumo ossessivo di morte negli spettacoli televisivi sia di fiction che di informazione, così come molti dei comportamenti al limite della patologia legati ai videogiochi e al gioco d’azzardo, al consumo di alcol e di droghe, alla paura talvolta anche maniacale di essere lasciati soli o di non essere sufficientemente, appunto, desiderati.
 

Nessun commento: