A beneficio (soprattutto) di coloro che non hanno ancora sostenuto la prova scritta, riporto i principali contenuti delle lezioni di dicembre dedicate a Castells, Lévy e Debord.
Manuel Castells
Manuel Castells è un sociologo spagnolo di formazione classica. Il suo contributo principale allo studio della comunicazione è la considerazione della tecnologia dell’informazione come struttura portante della società contemporanea, che è una società in rete.
Il suo approccio non è tipicamente determinista. Secondo lui, la tecnologia non determina la società, ma fornisce gli apparati utili perché una società possa raggiungere i propri scopi, possa coordinare le pratiche e le relazioni sociali attraverso le proprie istituzioni. Sebbene poi una tecnologia incida ovviamente sull’organizzazione collettiva, la sua adozione dipende dalle scelte arbitrarie dello Stato, degli attori economici, ecc. Si può fare l’esempio di ARPANET, la prima tecnologia che rese possibile network. Fu creata nel 1969. Ma l’esplosione delle reti informatiche si ha tanti anni dopo, solo quando ci si accorge della loro vastissima utilità, soprattutto economica.
Oggi, secondo Castells, impera la logica di rete che è il paradigma tecnologico predominante: l’economia, la cultura, la politica si strutturano in base a network di vario tipo (informazioni, dati, merci, ecc.), sempre dinamici e flessibili.
La nostra è una società informazionale: nonostante l’importanza che ancora oggi conservano gli ambiti sociali ristretti, l’informazione si elabora e trasmette globalmente, e diviene la chiave dell’organizzazione sociale, economica e politica.
Per questo oggi vige il paradigma tecnologico dell’informazione. In base alla gestione delle informazioni si definiscono le relazioni umane ed il coordinamento sociale, nei suoi aspetti principali: produzione, esperienza, potere.
La società moderna è fortemente capitalistica e l’economia capitalistica che si fonda sull’innovazione costante, la globalizzazione di mercati e produzione, il decentramento si sposa con l’organizzazione basata su network. La competizione e la produzione si giocano sulla capacità di gestire reti di informazioni, flussi finanziari, di idee, di snellire la produzione, gli stock di magazzino, di essere flessibili, ecc. Per poter essere sempre competitivi sul mercato.
L’economia capitalista si basa su flussi finanziari in rete e deve confrontarsi con un mercato planetario, mentre il denaro fluisce sempre più nelle reti in forma immateriale. Il capitale viaggia nelle reti simultanee come flusso e informazione, mentre il lavoro rimane concentrato nei luoghi e si regola con il tempo dell’orologio. Il lavoro diviene in generale più tecnologico, individualizzato e frammentato/flessibile. Se ne approfitta chi riesce ad essere più competitivo autoprogrammando il proprio impiego, riuscendo ad acquisire ed a mutare di continuo le proprie competenze.
Lo spazio diviene uno spazio dei flussi: relazioni simultanee in uno spazio scandito dalla condivisione di flussi di informazioni, dati, ecc.
Il tempo diviene senza tempo. Esiste solo un flusso disorganizzato e senza sosta. Non ci sono cicli o progetti storici, ma flussi effimeri e flessibili. Si veda, ad esempio, l’economia del just in time.
Internet, infine, agevola la privatizzazione della socialità: si tende ad isolarsi, e si rincorrono legami deboli che partono dall’IO. Le varie comunità sono fragili e dettate da inclinazioni momentanee e sempre revocabili.
Pierre Lévy
Pierre Lévy è un intellettuale francese che vede nel cyberspazio una grande opportunità d’emancipazione per l’uomo.
La sua impostazione non vuole essere determinista. Secondo lui la tecnologia, che nasce in un contesto socioculturale, non determina la società ma la condiziona. Ovvero, definisce un insieme di possibilità che possono influenzare la strutturazione della società. Ci sono delle opportunità che una tecnica produce, è importante che una società sappia cogliere quelle più vantaggiose.
Non esiste, per Lévy, una ragione pura (a) ed un soggetto trascendentale (b) di stampo kantiano. Cioè: (a) le nostre qualità o categorie cognitive ed esperienziali sono sempre condizionate dalle tecnologie (specie intellettuali); (b) non esiste un soggetto isolato e puro, ma noi siamo sempre frutto del nostro essere parte di collettivi e delle tecnologie che sono alla base del modo di “incontrarsi” di tali collettivi. Le tecnologie intellettuali, che fondano l’immaginazione, la percezione e l’attitudine a operare definiscono quell’ambiente in cui il collettivo e l’individuo dialogano e si formano sulla base della condivisione di idee, rappresentazioni, modi d’agire.
Oggi il cyberspazio è sempre più pervasivo. Per cyberspazio si intende la rete, il nuovo ambiente comunicativo caratterizzato dai computer, dalle informazioni che fluiscono, ecc. La cybercultura è invece l’insieme di valori, attività, conoscenze, competenze della rete.
La comunicazione della rete è del tipo molti-molti, l’informazione viaggia in flussi e l’universo è virtuale (cioè, nel linguaggio di Lévy, ha in potenza nuove e molteplici opportunità).
La cybercultura è un universale senza totalità. Le culture orali erano ristrette al contesto in cui si risiedeva e si comunicava. Non erano dunque universali. La scrittura e gli altri media sono universali, perché vanno oltre il contesto di produzione dei messaggi, ma posseggono significati chiusi, su cui non si può operare e che rimandano al produttore per essere decifrato (totalità). Invece il cyberspazio consente a tutti di raggiungere l’informazione, ma anche di operare su di essa, di modificarla, integrarla, ecc. È questo che consente la formulazione di intelligenze collettive.
Questa intelligenza collettiva, che, secondo Lévy, sarà resa possibile dalla rete è: distribuita ovunque; continuamente valorizzata; coordinata in tempo reale; atta a mobilitare effettivamente tutte le competenze. Si pensa insieme, si contrattano significati, valori, progetti. Ognuno è responsabilizzato e può apportare i propri benefici alla collettività.
Questi collettivi intelligenti sono consorzi immateriali dove discutere ed incontrarsi. Sempre pronti ad adattarsi, a rendere saperi e competenze utili a seconda delle esigenze. Conoscenza, convivenza, relazioni sociali possono godere di nuove chance. Il cervello condiviso può aiutare la formulazione di progetti efficaci.
La politica si potrà gestire nei collettivi intelligenti. Grazie al cyberspazio tutti i cittadini potranno cooperare alla gestione del bene collettivo e definire progetti in tempo reale. Un coro polifonico improvvisato che può continuamente rispondere alle esigenze che si pongono innanzi. Non statica democrazia, dunque, ma demodinamica, sempre in divenire, sempre capace, in potenza, di risolvere collettivamente i problemi.
Guy Debord
Debord è un pensatore rivoluzionario francese che ha vissuto e operato in Francia; le sue teorie hanno conosciuto il periodo di maggiore splendore alla fine degli anni 60.
Fu il fondatore della corrente situazionista che si proponeva di sovvertire l’ordine dominante.
Tra le direzioni di ricerca più significative si collocano il détournement, un processo di risignificazione: scelti degli oggetti culturali, siano essi immagini, opere d’arte o parole, li si assembla in maniera nuova distruggendone il senso originario ed assegnandone uno nuovo; la situazione, intesa come una pianificazione individuale dell’esperienza.
Attraverso la costruzione di situazioni si voleva destrutturare i contesti precostituiti figli dell’ordine dominante; il cinema, come strumento atto al superamento dell’arte e utile ai fini propagandistici del movimento: la creazione di anti-film (schermo nero e assenza di sonoro), tendeva all’autodistruzione del mezzo.
Di chiara prospettiva marxista, il pensiero di Debord è illustrato nelle sue uniche due opere scritte:
La società dello spettacolo del 1967 e i Commentari alla società dello spettacolo del 1988.
E’ appunto il concetto di spettacolo l’innovazione proposta da quest’ultimo. Esso non va inteso meramente come espressione della tirannia dei mass-media: quest’aspetto risulta essere la manifestazione sociale più opprimente, ma non è né l’unica, né la più importante. Lo spettacolo è, piuttosto, il tipo di relazioni interpersonali costruite dalle immagini di una società spettacolarizzata; per questo motivo, esso non è qualcosa di esterno alla società, ma, anzi, è la sua struttura profonda.
Debord mutua da Marx i concetti di a) alienazione e di b) feticismo delle merci.
a) L’espropriazione dei consumatori da parte dei proprietari dei mezzi spettacolari, con la merce divenuta ormai immagine, seducono gli individui con proposte di vita irrealizzabili, creando soggetti alienati.
b) Le merci dunque, ammantate da un’illusorietà che le rende quasi magiche, assumono un valore esclusivamente simbolico conferendogli proprietà salvifiche.
Secondo Debord nella società dello spettacolo è impossibile fare esperienze dirette, condannati come siamo alla condizione di meri spettatori.
Immersi in un flusso ininterrotto di immagini le dimensioni temporali si annullano dando vita ad un tempo congelato che si risolve nella pseudo-ciclicità della produzione spettacolare.
Debord distingue, in momenti diversi, tre tipologie dello spettacolo: lo spettacolare concentrato, tipico delle società totalitarie; lo spettacolare diffuso, caratteristico delle democrazie occidentali; lo spettacolare integrato, attualmente dominante, che fonde le due precedenti esaltandone le diverse qualità.
6 commenti:
GRAZIE DI CUORE PROF..!
raga ma per noi ke abbiamo sostenuto la prova qst sn argomenti da nn portare all esame, vero?????
li porterai allo scritto.:)
dio...è un grande prof
Quando ci sarebbe l'orale?
x quelli ke hanno superato la prova ke argomenti si devono portare all orale?sl gli ultimi 2 libri la morte e i videogame?? grazie baci a tutti
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