giovedì 5 maggio 2011

Sociologia della conoscenza 2010-2011

Yonnet, La ritirata della morte

Tutti coloro che non stanno frequentando il corso e che intendono sostenere la prova d'esame possono prepararsi sui seguenti testi:

P.-L. Landsberg, Teoria sociologica della conoscenza (Ipermedium libri)
G. Pecchinenda, Homunculus (Liguori)
P. Campbell, Padre e memoria (Ipermedium libri)
S. Caldieri, Spazi sintetici (Liguori)
P. Yonnet, La ritirata della morte (Ipermedium libri - in corso di stampa)

domenica 17 aprile 2011

Raccontare per Essere (2)


Una persona deve inventare o raccontare bugie non al fine di ingannare o comportarsi in mala fede, ma per non lasciar morire la propria immaginazione. Uno ha il bisogno di riferire storie, di raccontare per essere, perché per qualche enigmatica ragione solo il lavoro della memoria trasformata in narrazione è ciò che ci fornisce un’idea di chi siamo: questo lavoro narrativo riguarda la nostra identità personale. Chi sono io? Come sono secondo me stesso? Come sono secondo gli altri? L’idea che ho di me stesso coincide con l’idea che gli altri hanno di me?
Da bambini abbiamo fame di storie. Desideriamo che ci si racconti qualcosa prima di passare a quell’altro mondo che è quello dei sogni. Perché è possibile che la nostra rappresentazione del mondo sia strutturata come una narrazione. Ci sono linguisti che dicono – come Mark Turner, ad esempio – che ogni volta che parliamo stiamo raccontando una storia. Qualunque cosa diciamo stiamo sviluppando un qualche aneddoto mentre introduciamo e tiriamo fuori personaggi, come se ci fosse in noi una certa predisposizione genetica innata verso la narrazione. È per questo che il filosofo John Searle afferma che il linguaggio ci costituisce e ci collega alla società: “Gli animali hanno gruppi sociali, ma non hanno nulla di simile alla civiltà umana. Perché? Perché quest’ultima è una conseguenza del linguaggio. Il linguaggio non solo rende possibile la civiltà, ma la crea. Il denaro, le vacanze, il governo, il matrimonio… tutto viene costruito dal linguaggio. Il linguaggio è l’elemento fondamentale delle relazioni umane.”
Il grande scrittore nordamericano William Maxwell, autore del romanzo Ciao, a domani (Marsilio) sostiene che ciò che attribuiamo alla memoria è una forma di narrazione che si sviluppa nella mente e si trasforma nel momento in cui viene raccontata.
Lo scrittore e neurologo Jesus Ramirez Bermudez, in una conversazione con Arturo Garcia Hernandez a proposito del suo primo romanzo, Paramnesia, parla proprio dell’atto di narrare o raccontare una storia. Parla dei giochi che avvengono nella nostra memoria quando narriamo qualcosa:
“Quando narriamo qualcosa pratichiamo una sorta di decorazione di noi stessi; si verifica una specie di distorsione della memoria, ma non per ragioni aleatorie, bensì per alcune necessità dell’identità personale. Ci creiamo un’identità e dobbiamo mantenerla a tutti i costi, anche se a volte si dissocia da ciò che siamo.” Jesus Ramirez Bermudez sa che la memoria inventa e non riproduce come quando si mette in moto un disco. La memoria è umana e per tanto sentimentale. Non può essere separata dall’emozione.
Lo ha appena raccontato anche il romanziere Günter Grass. Quasi tutti i suoi libri sono autobiografici, ma in Sbucciando la cipolla (Einaudi) egli parla di ciò che non aveva mai detto. “L’autore deve lavorare con i suoi ricordi, con la sua memoria. E sappiamo che la memoria tende ad imbellire le situazioni, a presentare questioni complesse sotto una forma sufficientemente semplice da poter essere narrabili”
Nasce da qui la sua sfiducia nei confronti della propria memoria e dei propri ricordi. Grass avrebbe voluto scrivere tutto in una sola volta. Poi però con il tempo ha cominciato a togliere le sfoglie alla cipolla ed ha cominciato a leggere tra l’una e l’altra, prendendoci gusto. “Inoltre si rendeva possibile qualcosa per niente facile, raccogliere quel bambino dell’anno 1939, una persona così lontana da me, e intraprendere una conversazione con lui.”
Continuiamo a essere come bambini: ad ogni istante inventiamo la nostra realtà. Detlev Ganten sostiene che per capire il ruolo dell’immaginazione nella memoria non c’è niente di meglio che ascoltare dei bambini che narrano le loro esperienze.
Ciononostante, nella creazione dell’opera artistica letteraria – fatta in silenzio e nella solitudine – sembra che le cose accadano in un altro modo; almeno non in maniera così deliberata e cosciente. C’è chi crede che l’io più profondo dello scrittore sia quello che si manifesta al momento della scrittura.
(CONTINUA)
L’ io che scrive non è l’io che vive tra le altre cose del mondo. L’io dell’artista è un io interiore, intimo e particolare, che cerca di esprimersi e che non giunge mai a stabilire nessun tipo di relazione con l’io storico, mondano e contingente.
(CONTINUA)

lunedì 4 aprile 2011

Raccontare per Essere


Raccontare per Essere
di Gianfranco Pecchinenda
(introduzione all’edizione italiana di Federico Campbell, Padre e memoria, Ipermedium libri 2011)


«Ho quarant’anni e so che la morte di un padre è un evento che lascia il segno e che la dovrò immortalare, se voglio chiamarmi scrittore». Questa frase, con la quale Alan Bennett sembra quasi voler giustificare il suo dilungarsi sulla figura paterna nel corso della sua delicata e commovente autobiografia,[1] potrebbe essere stata scritta da uno dei tanti autori che lo studioso messicano Federico Campbell analizza in questo bel libro che oggi appare in edizione italiana.
Sarebbero innumerevoli, in effetti, gli esempi nella storia della letteratura in cui traspare, dirompente, l’importanza della figura paterna nella vocazione di uno scrittore. Campbell ne cita molti, moltissimi: dai grandi classici, come Kafka, Dostoevskij, Borges o Rulfo, passando per diversi tra i più significativi autori contemporanei – Carver, Handke, Shepard, Auster, Pamuk, Roth, Franzen e tanti altri ancora – i quali, sempre con grande suggestione, riescono a tradurre, ognuno a suo modo e con la propria cifra stilistica, la ricerca di un rapporto con questa necessaria quanto ingombrante figura, così centrale per la conoscenza del sé quanto per la strutturazione di qualunque tipo di organizzazione sociale.
Se vogliamo, però, i diversi riferimenti al padre che accomunano molti dei capitoli che compongono questo libro, possono essere considerati anche uno spunto, se non un vero e proprio pretesto, per introdurre tutta una serie di altre importanti tematiche, variamente connesse tra loro, che riguardano la memoria, il vissuto temporale, l’identità, la narrazione, l’arte, la scienza. E la letteratura, soprattutto. Sì perché la letteratura – sembra volerci dire Campbell – ha qualcosa di proprio e di specifico da insegnare su molte delle questioni su cui le diverse discipline scientifiche si dibattono da sempre. Molti scrittori, e Proust in tal senso potrebbe essere considerato emblematico, sono stati spesso in grado di comprendere e spiegare alcuni dei meccanismi emotivi connessi al funzionamento del comportamento umano ben prima che tali spiegazioni venissero riconosciute e poi corroborate dalla ricerca scientifica, facendo ricorso alle diverse metodologie ad essa più consona… (continua)



[1] Alan Bennett, Una vita come le altre, Adelphi 2010.

venerdì 25 marzo 2011

Sociologia della conoscenza 2010-2011

Anno Accademico 2010-11
Corso di laurea magistrale in Comunicazione Sociale, Politica e Istituzionale
Modulo di Sociologia della Conoscenza (9 CFU)
Prof. Gianfranco Pecchinenda
(II semestre)

Titolo del corso: Conoscenza e Narrazione della Realtà nelle Scienze Sociali


Obiettivi Formativi Specifici
Il corso intende consentire allo studente di acquisire gli strumenti concettuali fondamentali della disciplina. Una particolare attenzione sarà riservata all’analisi critica dei processi di acquisizione e trasmissione della conoscenza connessi alle  trasformazioni culturali e ai mutamenti tecnologici in atto nella società contemporanea.
Parte I: La Sociologia della Conoscenza
Il corso tratterà, nelle lezioni introduttive, dei prerequisiti teorici della disciplina, con particolare riferimento ai classici del pensiero sociologico. In una seconda fase saranno analizzati i principali sviluppi verificatisi nell’ambito dell’epistemologia contemporanea.

Parte II: La Conoscenza e la Narrazione dell’Immaginario. La questione della Fiction 

Parte III: La Conoscenza e la Narrazione Scientifica. La questione tecnologica 
  
Modalità di svolgimento del corso:
A partire dal 16 marzo 2011, tutti i mercoledì dalle ore 10 alle ore 13 aula magna primo piano e Giovedì dalle ore 11 alle ore 13 aula I-4
Mer. 16 marzo (LEZIONE INTRODUTTIVA)
Mer. 23 marzo – Gio. 24 marzo
Mer. 30 marzo – Gio. 31 marzo
Mer. 6 aprile – Gio. 7 aprile
Mer. 13 aprile – Gio. 14 aprile
Mer. 20 aprile – Gio. 21 aprile
Mer. 27 aprile – Gio. 28 aprile
Mer. 4 maggio – Gio. 5 maggio
Mer. 11 maggio – Gio. 12 maggio
Mer. 18 maggio – Gio. 19 maggio
Mer. 25 maggio (LEZIONE CONCLUSIVA)
Per tutti gli studenti è considerata necessaria un’adeguata conoscenza dei testi indicati tra i “prerequisiti teorici”.
Testi d’esame (Prerequisiti Teorici):
K. Marx – F. Engels, La concezione materialistica della storia
E. Durkheim, Le regole del metodo sociologico
M. Weber, L’Etica protestante e lo spirito del Capitalismo
A. Schutz, La fenomenologia del mondo sociale, Il Mulino
P. Berger e Th. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino
P.-L. Landsberg, Teoria sociologica della conoscenza, Ipermedium libri
Il materiale didattico ulteriore, necessario per sostenere l'esame, sarà indicato nel corso delle lezioni.
I testi d’esame, per coloro che non frequenteranno il corso, saranno indicati sul sito www.pecchinenda.blogspot.com a partire dal giorno 27 aprile 2011.
La prova finale per ottenere i crediti (9 CFU) sarà scritta.

giovedì 20 gennaio 2011

Corriere del Mezzogiorno



La nostra, si sa, è una società senza padri. Non so se sia possibile rintracciare con successo le radici biologiche di un gruppo sociale. È certo però che l’indebolimento del senso d’identità, strettamente connesso alla progressiva frammentazione dei legami intergenerazionali e della memoria collettiva, stia facendo oggi aumentare enormemente il bisogno di andare alla ricerca di punti di riferimento – il cui valore è evidentemente soprattutto legato all’immaginario simbolico – che possano servire in qualche modo da ancoraggio. Una ricerca di radici, appunto, una ricerca di appartenenze, una ricerca di padri!
Se consideriamo che i primi padri umani non furono biologici ma adottivi, potrebbe risultare interessante allora riflettere su alcuni dei passaggi che hanno contribuito all’invenzione di questa peculiare figura.
Non è dato sapere con precisione di quante generazioni abbia bisogno un nuovo comportamento per diventare caratteristica permanente di una specie. Per quanto riguarda il comportamento paterno è però certamente evidente che un giorno esso è comparso, si è diffuso e poi stabilizzato fino ad appartenere a tutte le società umane conosciute, con qualche piccola e poco significativa eccezione, (come nella Cina meridionale, dove pare gli uomini si limitino a visitare di notte le donne, senza coabitare con loro).
Alcuni specialisti tendono a ricostruire i percorsi che hanno condotto all’affermarsi e alla diffusione di un tale comportamento rivoluzionario nel modo seguente: alcuni milioni di anni fa, in Africa, l’accoppiamento dei nostri antenati doveva essere regolato dal calore delle femmine, come ancora oggi avviene negli animali. Tra maschio e femmina non esisteva alcun genere di legame stabile. Essi si nutrivano prevalentemente di foglie e di frutta, la cui raccolta non richiedeva spostamenti né organizzazione di gruppo. La vita sociale prendeva probabilmente la forma di bande di dimensioni medio-piccole, come nella maggior parte delle scimmie superiori. Poi, progressivamente, si sono verificati – tra gli altri – i seguenti fondamentali passaggi: la progressiva stabilizzazione del bipedismo, con conseguente trasformazione delle funzioni delle mani (che cominciano, tra l’altro, ad essere utilizzate per il trasporto di oggetti, cibo e – soprattutto – dei figli); l’inizio di una profonda separazione di compiti tra i sessi: se le mani delle femmine-madri erano occupate dai figli, al cibo e alla difesa dovevano cominciare a provvedere i maschi. Questo atteggiamento rivoluzionario comincerà evidentemente ad essere premiato dalla selezione (coloro che conservavano un comportamento da padri-scimmia e non spartivano il cibo con i figli, avevano meno probabilità di sopravvivenza genetica. Il loro numero, inevitabilmente, tenderà a diminuire).
Era comparso un nuovo atteggiamento, evolutivamente vincente! Il maschio comincerà a divenire una presenza costante, per quanto intermittente a causa delle sue spedizioni di caccia.
Ma proprio a tal proposito è necessario sottolineare almeno un ultimo fenomeno fondamentale: ai vecchi percorsi di “sola andata” alla ricerca di prede, si inizierà a sostituire un’altra tipologia di cammino, quello che prevederà anche “il ritorno”, un ritorno al punto di partenza, il rientro “a casa”, la nascita di un essenziale legame ad un luogo, l’invenzione dell’appartenenza; le precondizioni, insomma, per la nascita della famiglia, delle società umane e, perché no, di tutti i successivi miti della ricerca delle radici.